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25 Novembre, la giornata contro la violenza sulle donne. Violenza che è psicologica, prima ancora che fisica. I segni sul corpo sono i soli tangibili, visibili. La violenza va oltre. Il peggior segno che lascia è il silenzio, in cui cade la donna vittima della paura. La paura fa restare a bocca chiusa e logora lentamente.

Oggi scrivo per dar voce, nel mio piccolo, a coloro che non trovano la forza e il coraggio di gridare, di denunciare. Lo faccio con pensieri sparsi, con la sola speranza che coloro che vivono nel terrore riescano a fuggire da quella morsa. In tempo.

Continuava a raccogliere macigni per metterli silenziosamente nella sua sacca. Un bagaglio che si faceva pesante giorno dopo giorno e di cui non riusciva a liberarsi.

Ha proseguito comunque nel suo cammino, correndo, saltellando, scalando, cadendo. Fino a quando quel sacco ha iniziato a farla rallentare. Non poteva permetterselo ed ha scelto di svuotarlo di colpo. Lasciarlo cadere a terra. Il frastuono e le conseguenze erano immaginabili. Il giorno in cui ha spostato gli armadi resta incorniciato in una fotografia che il tempo non potrà sbiadire. Le notti di quel lungo mese si svegliavano lente. Il divano letto era scomodo, lo spazio ristretto e la paura troppo grande. Ha sperato, pregato, aspettato. Ogni rumore era un graffio sul cuore e lo è ancora oggi. La collera che aveva visto negli occhi di lui era troppa. Così aveva scritto, ogni singola notte, per lasciare traccia qualora fosse accaduto l’irreparabile.

Il pianto ruppe il silenzio. Non c’era risveglio da quell’incubo.

Con i suoi demoni a scavare nei pensieri, appoggiare le labbra direttamente alla bottiglia fu semplice. Aveva acceso le candele profumate alla vaniglia, mentre una canzone in loop copriva ogni suono del mondo esterno. L’alcol iniziava a fare il suo dovere. Nella mente il vuoto e all’improvviso il pianto. Le gambe iniziarono a non tenere più e il pavimento era così vicino. Pianse e pianse, mentre il corpo non aveva più controllo. Eppure c’era troppa lucidità ancora. L’immagine di quell’uomo, il suo sguardo, i suoi gesti. Sporca, così si sentiva. Per ogni sentimento provato, per avergli permesso di entrare nella sua anima con le scarpe sporche di fango. Raggiunse la cucina, c’era un’altra bottiglia ancora chiusa. Non riusciva ad aprirla ma era troppo forte il desiderio di annegare anche l’ultimo pensiero. Si aiutò con il coltello, mentre le gambe iniziavano a cedere sotto il suo corpo fragile. Bevve ancora e ancora. Ecco il vuoto e i pensieri al rallentatore.

Ha nascosto ogni cosa in quella stanza che è stata il suo rifugio. Oggetti, speranze, sogni.

Il tempo a volte sembra essersi fermato a quei giorni. Nella sua vita oggi c’è di nuovo luce. Liberazione. Libertà. Rinascita.

Le iniziative volte a supportare le donne vittime di violenza sono numerose, ma l’unico reale sostegno che ognuna deve trovare è dentro sé.

Si chiama coraggio.

E’ il coraggio di lottare, di liberarsi, di vivere, di tornare ad aprire il proprio cuore al mondo e agli altri.