Ricordo il titolo della raccolta di poesie di Pavese, “Lavorare stanca” e ogni tanto mi chiedo: stancherebbe chi? Lavorare stanca, chi non mette passione nel proprio lavoro. Lavorare stanca, chi del lavoro fa solo e necessariamente un obbligo, un dovere. Negli ultimi mesi mi sono lamentata troppo spesso, però oggi ci ho pensato su. Non sono stanca del lavoro, perché senza questo la mia vita non sarebbe uguale. Non riesco ad immaginarmi ferma in un letto o seduta su un divano o sdraiata a vita sotto una palma in riva al mare. Dovrei fare qualcosa anche li. Ferma, io, non ci so proprio stare. Penso fortemente che lamentarsi del proprio lavoro sia tipico di chi non prova piacere per ciò che fa.
Quando ancora nel letto, con il cuscino stampato sulla faccia abbraccio lo smartphone e inizio a leggere le email con gli occhi semi chiusi; mentre la Moka borbotta e il profumo di caffè riempie la cucina e il mio sguardo sconcertato è fisso sull’ipad e le ultime notizie. Ogni attimo, fino all’arrivo in ufficio, è tecnologicamente scandito. Poi le ore scorrono in modo quasi organizzato fino alla sera, fino a quando prima di dormire, lancio l’ultima occhiata alle notifiche e serenamente mi lascio andare al sonno.
Non sono stanca, sono ricca di una stanchezza felice e fortunata, perchè occuparsi di social media permette di essere a contatto con realtà diverse, inventare ed inventarsi ogni giorno.
E ora esco dall’ufficio. Questa giornata di lavoro non finisce qui, ci si trova più tardi, su qualche status di qualche social network. Perché il web, non riposa mai.